DESCRIZIONE
L’ultimo impegnativo intervento per dare un assetto stabile alla percorribilità della Flaminia nel punto più aspro della gola del Furlo è costituito dal traforo fatto realizzare da Vespasiano. Questa poderosa opera ha qui risolto definitivamente il problema del regolare transito e assume carattere di eccezionalità.
La realizzazione della galleria è stata probabilmente determinata da un nuovo cedimento del piano stradale, avvenuto sul versante orientale dello sperone di roccia, procurando precarietà di transito.
Con l’apertura del grande traforo è stato definitivamente del tutto abbandonato l’originario tracciato della via che aggirava per intero la rupe, per altro all’epoca divenuto pressoché inutilizzabile. Questa determinante circostanza ha obbligato in definitiva le maestranze romane a ricorrere allo scavo «a foro cieco» in quanto esso rappresentava l’unico mezzo per risolvere il problema della viabilità della Flaminia in questo fondamentale punto. La galleria si è rivelata anche il mezzo più vantaggioso per collegare Roma alla costa adriatica, perché l’aspra gola sarebbe stata evitabile solo con una lunghissima variante tutta in zona di alta collina, con difficoltà notevoli da superare. Il risultato eccezionale conseguito giustifica ampiamente il ricorso nella strettoia del Furlo ad un mezzo che nella realtà viaria viene in genere evitato.
La tradizione locale vuole che la poderosa opera sia dovuta all’impiego di particolari espedienti quali l’uso del fuoco per scaldare la pietra e dell’aceto per rendere friabile il duro calcare massiccio della rupe. In realtà il sistema pratico seguito per l’escavazione del masso si è basato su mezzi modesti, quali il piccone, la mazza e il cuneo. All’interno della galleria si possono ancora notare con evidenza le tracce lasciate da questi strumenti sia sulle pareti che sulla volta, accuratamente rese uniformi.
La lunghezza della galleria risulta circa di 38 m e la larghezza oscilla da m 5,47 al centro a m 5,35 sul lato verso Cagli, misura m 5,23 sull’imboccatura verso Fossombrone. Queste misure corrispondono a 130 piedi romani di lunghezza e a una media di 18 piedi di larghezza, circa la stessa ampiezza segnalata nel punto più stretto della attigua originaria via scavata “in trincea”. L’altezza aveva le stesse dimensioni della larghezza (18 piedi), di cui circa 3,60 (12 p.) riferibili alle pareti e quasi 1,80 al sesto della volta (6 p.).
Va osservato che i due ingressi non sono costituiti da semplici cavità ricavate nella rupe. Quest’ultimo elemento strutturale è stato oggetto di particolare attenzione, con l’intento di conformarlo in qualche modo alla monumentalità dell’opera. Sia il tempo che la mano dell’uomo hanno reso poco leggibile il disegno originario delle due imboccature, caratterizzate da montanti laterali con semplice cornice al di sopra risparmiata nel masso, dalla quale spicca la volta.
Le lesene sono larghe m 1,18 (4 piedi) ed avevano in origine un’altezza di circa m 3,60 (12 piedi) mentre l’arco al di sopra è di m 2,40 circa (8 piedi). Una sola delle quattro cornici inizialmente presenti è ancora conservata interamente ed è visibile sull’ingresso orientale. Su quello occidentale ne sono appena riconoscibili le tracce con scarso rilievo, perché in gran parte scalpellate. Si tratta di una sorta di rozzi “capitelli” aggettanti di circa 25 cm, del tipo di quelli, più accurati, presenti in corrispondenza dell’ingresso centrale della Porta di Augusto a Fano.
Sopra l’arco e per tutta la larghezza della facciata orientale della parete rocciosa è presente una risega orizzontale di circa 30 cm di profondità, in simmetria con la quale e in asse con la porta è ricavata la tabella rettangolare con su incisa l’iscrizione che ricorda l’opera voluta da Vespasiano. L’epigrafe richiama quelle al centro dell’attico di archi o di porte urbiche e potrebbe fare parte di una struttura più ampia incisa in origine sulla parete di roccia e scomparsa come è avvenuto per il testo dell’iscrizione sopra l’ingresso occidentale, totalmente dilavata almeno già dal Seicento. In definitiva si tratta di due porte sormontate da un’iscrizione, definite in modo semplice, che si rifanno in qualche modo al tipo dell’ingresso centrale dell’Arco di Fano, che forse può costituire un non lontano modello di generico riferimento.
Sopra l’arco orientale della galleria l’epigrafe che ricorda l’esecuzione dell’opera per volontà di Vespasiano ha fatto molto discutere fin dai secoli passati a causa di un presunto errore nel numero degli anni di consolato (VIII), che sembrerebbe non accordarsi con la restante parte della titolatura: 76 o 77 d.C.? La data comunemente proposta è il 76 d.C., di recente ulteriormente confermata, e va riferita solo all’anno in cui l’opera è stata completata. Forse di maggiore durata è stato il tempo necessario per l’esecuzione del traforo, di certo iniziato prima di quell’anno e realizzato nel contesto di altri interventi per migliorare la percorribilità della Flaminia nella gola.
Autore: Mario Luni