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Gli elementi che consentono di stabilire, con buona approssimazione, la collocazione cronologica dello stanziamento dell’Età del Ferro di Monte Giove, sono rappresentati per il momento, oltre che dagli indizi di carattere pedologico (colorazione più scura del terreno agrario in due o forse tre diversi punti), esclusivamente da reperti fittili venuti alla luce con le arature.
Si tratta di due classi ceramiche nettamente distinte in relazione alla loro destinazione: una è rappresentata da gran quantità di frammenti di tegole piatte a bordi rialzati (fig. 3: 1, 5), da coppi (fig. 3: 2, 3, 4) e da grumi di terracotta con impressioni di frascame (intonaco) (fig. 3: 6, 7, 8), l’altra da frammenti di recipienti d’uso domestico.
Tegole, coppi ed “intonaco” sono inequivocabili indizi della presenza di abitazioni realizzate probabilmente con pareti di frascame rivestite di un intonaco di argilla (parietes craticii) cotta successivamente per effetto del fuoco con copertura realizzata con tegole piane (tegulae) i cui bordi rialzati erano coperti dai coppi semicircolari (imbrices). Una idea abbastanza precisa di una tale copertura la si ricava, ad esempio, dai modellini in terracotta di edifici di tipo etrusco-italico (fig. 4).
Non si hanno a tutt’oggi molte notizie su rinvenimenti analoghi per quanto riguarda le Marche a causa della mancata esplorazione degli abitati piceni. Tegoloni e coppi sono stati rinvenuti nell’insediamento preromano di Pesaro, datato tra la fine del VI e gli inizi del IV sec. a.C., a Montalto di Cessapalombo (Macerata) e a Belmonte, datati questi al IV sec. a.C..
Per quanto riguarda i resti di vasellame di uso domestico essi si presentano molto frammentati per cui, solo in pochi casi, è possibile stabilirne l’appartenenza ad una certa forma. Numerosi sono i frammenti di vasi di impasto grossolano, di produzione forse locale, presenti con la forma più comune del poculum munito, in prossimità del bordo, di prese a bugna, a spatola ecc. (fig. 6: 1-4, 6) e della piccola olla (fig. 7: 2, 3, 8). Figurano anche un certo numero di frammenti ad impasto più fine e depurato ed ancora pochi altri a pareti molto sottili. Le anse più frequenti sono a maniglia con sezione circolare (fig. 6: 13, 14) e ad anello (fig. 6: 8).
Probabilmente di importazione, realizzati in ceramica figulina tornita, sono invece i frammenti di forme aperte quali piatti, scodelle e ciotole in prevalenza di color giallo-arancio e grigio-cenere (fig. 7: 10-14): a forme chiuse, quali la brocchetta, sono riferibili due frammenti di ansa a nastro (fig. 6: 5, 7). Frutto di sicura importazione sono pochi, minuscoli, frammenti di ceramica attica a vernice nera. Uno di questi, pertinente ad una kylix a decorazione vegetale, è riferibile alla classe delle “floral band-cups” del Beazley (fig. 5).
La fauna associata ha restituito scarsi resti ossei fra cui figurano il cavallo, la pecora, il cinghiale: sono presenti anche valve di lamellibranchi. E’ stato possibile pure recuperare, sullo stesso sito, un certo numero di manufatti in selce, per lo più atipici, da riferire con probabilità al neolitico.
In assenza del sostegno offerto dai dati di scavo, col solo ausilio dei singoli elementi (tegole e coppi, tipi di anse, forme, ceramica attica a vernice nera ecc.), sembra possibile collocare l’abitato nell’ambito delle fasi “Piceno IVB e V” (fine VI – inizi IV secolo) proposte da D.G. Lollini.
Il rinvenimento, oggetto di queste note, collegato ad altri che vanno dalla preistoria all’età romana individuati in questi ultimi anni’, contribuisce a delineare ancor meglio il quadro delle culture che si sono succedute nel territorio di Fano.
Immagini: autorizzazione della Soprintendenza Archeologica delle Marche nr.139, del 5.1.1999.
Autore: De Sanctis Luciano
Fonte: http://www.lavalledelmetauro.it/contenuti/beni-storici-artistici/scheda/ 4566.html